L’idea di trapassare una bottiglietta di Coca Cola con una sorta di spillone rendendola qualcosa di differente: un oggetto artistico.
Da quello strano risveglio molte bottigliette di Coca Cola hanno subito mutazioni creative. E Roberto Rayneri ha sviluppato una vita parallela, affiancata e alternativa a quella di affermato private banker (e gentleman driver…).
L’ossessione creativa per la Coca Cola che lo ha spinto a creare oggetti che potrebbero con una certa faciloneria essere considerati afferenti alla pop art si segnala però per una caratteristica che rende il riferimento al pop assolutamente improprio: Rayneri ama la Coca Cola, la beve e la colleziona: nel collocarla al centro del suo operare non c’è la minima traccia della “critica” anticonsumistica o quantomeno dell’ironia palpabilissima nelle opere di Warhol o di Oldenburg o di Mel Ramos. O anche in quelle di Schifani che proprio sul marchio della Coca Cola (e della Esso ecc.). ha lavorato.
C’è piuttosto forse, rivelata anche dal frequente uso dell’oro come pigmento, una santificazione alchemica della misteriosa, segretissima ricetta della bibita.
In ogni caso, qualunque sia la corretta interpretazione critica del suo operare, il fascino del sogno perseguito ha saputo contagiare un altro, anzi un’altra, “irregolare dell’arte”: Manuela Aragno, una scienziata, docente sempre qui a Torino nella Facoltà di Medicina (patologia generale…).La divisione dei ruoli è raccontata da Rayneri in questi termini: “Io faccio il manovale, taglio e buco; lei pennella, lavora sulla delicatezza”.
Non sappiamo quanto ci sia di vero in questa scherzosa ricostruzione della genesi delle opere. Sappiamo però che sono opere di un notevole impatto e di indubbia originalità. La cui creazione ha aperto a due insospettabili la prospettiva di una vita parallela e clandestina da veri “irregolari dell’arte”.